La vera storia di Babbo Natale
Leggenda e realtà si fondono in un racconto fantasy.
I Babbi Natale di Gerosa
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Solamente in pochi conoscono la leggenda tramandata da anziani pastori del Lago di Gerosa. Ne sono venuto a conoscenza pernottando in un’antica locanda in riva al lago. Un vecchio pescatore dopo qualche bicchiere di vino, guardandosi intorno con aria circospetta, si avvicina e mi dice: “Se mi offri un buon bicchiere di Falerio ti racconto la vera storia di Babbo Natale”. Ovviamente io, più divertito che incuriosito, accetto. Con un gesto della mano chiamo l’oste che stava asciugando dei bicchieri ed ordino una bottiglia intera del ricercato vino locale. Seduti attorno ad un vecchio tavolo in legno oramai segnato dal tempo, il vecchio pescatore si versa il primo bicchiere di vino, alza gli occhi e mi dice: “ai bambini hanno sempre raccontato balle, Babbo Natale non esiste, è solo un’ invenzione commerciale, una delle malattie del nostro tempo. Babbo Natale in Lapponia…le renne che volano…che sciocchezze!!! Per colpa di questa invenzione si infrangono i sogni dei piccoli. Prima vengono illusi e poi, all’età della ragione, questi sogni esplodono come bolle di sapone… la slitta, le renne che volano…solo menzogne!!!” Mentre il vecchio si versa il secondo bicchiere, io mi guardo attorno con aria un po’ annoiata. Ma mentre cerco le parole per congedarmi, sul volto del pescatore compare un ghigno che mostra tutte le rughe disegnate dal clima di queste zone. Egli mi guarda dritto negli occhi, si avvicina, si guarda attorno e dice con un filo di voce: “Babbo Natale esiste, cioè non come viene dipinto normalmente, per meglio dire, lui proprio non esiste”. E’ completamente ubriaco e sta farneticando. Le sue parole sono impastate dall’alcol, ma mentre comincio a sorridere per la situazione, si alza in piedi sbattendo il bicchiere semivuoto sul tavolo e con tono deciso urla: “Ti dico che esistono veramente, si esistono ed erano un’antica popolazione che abitava sulla montagna”. Incuriosito dalle ultime frasi, lo invito a sedersi e a continuare il racconto mentre gli riempio il bicchiere che aveva svuotato sbattendolo sul tavolo. “Scusa ma quando parlo di questa cosa mi arrabbio facilmente, non sopporto proprio le menzogne. Allora caro amico, devi sapere che tanto tempo fa c’era una tribù che abitava sotto le pendici del monte Sibilla. Era una popolazione pacifica che viveva coltivando terreni ed allevando bestiame. Le stagioni si avvicendavano inesorabilmente e di tanto in tanto offrivano dei doni alla strega che dimorava all’interno del Monte. La Sibilla non era una strega cattiva, ma era pur sempre una strega che tutti temevano per i suoi enormi poteri raccontati dai vecchi del villaggio. Come di consueto, gli interessi cominciarono ad incentrarsi sulla continua crescita del paese, sull’espansione e sulla ricchezza. Le famiglie accantonavano più del necessario e la tranquillità che regnava in passato fu presto sostituita dalla frenesia. Le strega, che tutto vedeva, si accorse subito di quello che stava accadendo, soprattutto all’ interno delle famiglie: gli adulti, presi dalla malattia del “voler avere”, stavano trascurando gli interessi dei bambini che sorridevano sempre di meno. Erano dediti solo ad accumulare benessere materiale con la scusa di poter garantire un futuro migliore ai propri figli, che in realtà si sentivano trascurati dai genitori. Da tempo nessuno era più andato a portare doni alla Sibilla, erano troppo impegnati, ma a lei non importava, era solo inorridita nel vedere i bambini sempre più tristi. Prese così una decisione importante e, dopo alcuni secoli, spolverò il suo libro magico dei sortilegi e dopo aver sfogliato le pagine irrigidite, pronunciò delle incomprensibili frasi in una lingua ormai scomparsa, si chinò raccolse della sabbia da terra e la lanciò verso l’alto. Era una soleggiata giornata di fine dicembre e solamente le cime delle vette erano imbiancate dalla neve. Il cielo all’esterno della grotta di colpo fu coperto da una spessa coltre di nubi che invase tutta la vallata. Cominciò a piovere, dapprima in maniera quasi silenziosa, poi sempre più forte. Ancor prima che i fiumi cominciassero a riempirsi, la temperatura precipitò di colpo e la pioggia si trasformò in neve. Nessuno aveva mai visto niente del genere: in una notte la candita coltre aveva superato la spalla del più alto abitante. Il progetto della strega era di coprire l’intero villaggio, così che le famiglie potessero ricongiungersi nelle loro capanne per giocare con i bambini sempre più tristi. Ma purtroppo i grandi erano orami malati di lavoro e della voglia di avere sempre di più, quindi accesero un enorme fuoco al centro del paese per far sciogliere tutta la neve per continuare così a recarsi al lavoro e guadagnare sempre di più. Alimentarono il falò per giorni, bruciando di tutto, compresi i giochi in legno dei più piccoli. Ma in una giornata più tempestosa del solito, arrivò un drago richiamato dall’enorme fuoco che si vedeva a chilometri di distanza nella bufera come un faro nella nebbia. Mentre i grandi erano a lavoro, l’ enorme bestia si fermò nei pressi di una grande costruzione in legno dove era consuetudine far giocare i bambini. Il drago salì sul tetto della solida struttura e con due battiti di ali la sradicò portando via con sé tutti i bambini terrorizzati. I Grandi tornarono solamente la sera e, non trovando più la grande capanna, furono presi dal panico. Non riuscivano a capire cosa fosse successo e, consigliati dal più saggio abitante, decisero di recarsi tutti dalla strega, pensando che fosse lei la causa della sparizione. Armati di forconi ed altri attrezzi, dopo aver sfidato la tempesta, riuscirono ad arrivare all’interno della grotta dove dimorava la Sibilla. Lei aveva già percepito l’ arrivo minaccioso degli adulti ed era pronta ad accoglierli. L’anziano furibondo le si scagliò contro inveendo e maledicendola per la scomparsa dei propri figli, ma lei in lacrime urlò facendo tremare tutta la vallata: “IO VI MALEDICO! Avete dapprima rubato il sorriso ai vostri figli e poi li avete abbandonati solo per la bramosia di un sogno di ricchezze effimere! Ora un drago è sceso a valle portando con sé quello che sarà il suo pasto nei prossimi giorni. VI MALEDICO e piango perché non posso aiutarli, la pelle della bestia ricoperta da squame è immune a qualsiasi mia magia”. Oramai tutta la popolazione si era riversata all’interno dell’enorme grotta e tutti si erano inginocchiati piangendo per chiedere perdono e per farsi aiutare dalla strega, ma nulla poteva essere fatto contro il mostro. Il destino dei piccoli sembrava segnato…quando ad un tratto la centenaria strega si ricordò di un racconto vecchio come il tempo. Questo narrava che il Drago incendiò con il suo alito degli alberi di mele, ma queste rimasero intatte a causa del loro colore: il rosso. La Sibilla ebbe un lampo di genio e fece con tutti i presenti un accordo: li avrebbe forniti di indumenti inattaccabili dalle fiamme del drago e questi avrebbero dovuto combattere fino all’ultimo. Se la vittoria fosse stata loro, avrebbero dovuto passare il resto della vita a far felici i propri figli. Tutti acconsentirono senza esitazione e così furono invitati a spogliarsi dei loro rudimentali indumenti e ad accatastarli al centro della grotta. Il libro magico era già tra le mani dell’unico essere che poteva pronunciare le magiche parole, quando una luce rossa avvolse tutto. Il tempo scorreva, bisognava agire subito, così tutti cominciarono ad indossare gli abiti tinti di rosso, compresi i copricapo e, armati solamente di alcuni forconi, si precipitarono lungo i fianchi della montagna. La visibilità era pressoché nulla, la maga aveva fatto aumentare il freddo e la tempesta e il drago era più debole nella neve. In poco tempo arrivarono giù in fondo alla vallata, in un promontorio dove era stata appoggiata la grande capanna con all’interno i piccoli. Il drago si accorse subito dell’arrivo delle persone che urlavano a squarciagola per darsi coraggio. Aprì le fauci e lanciò le sue fiamme infernali che però non ebbero nessun effetto su di essi, ma i suoi denti ed i suoi artigli squarciarono i corpi ed il sangue ed i brandelli di carne cominciarono a tingere di rosso la neve di tutta la valle. Il drago stava avendo la meglio quando un giovane, a terra e ferito, vedendo la morte oramai vicina, estrasse dalla sua tasca una pietra. Le era stata regalata da suo figlio molto tempo prima e, nel riceverla, gli aveva promesso che quando il figlio sarebbe cresciuto un po’, avrebbero costruito una lancia per andare a cacciare assieme. La pietra era affilata come nel giorno in cui gli era stata donata e, mentre la fissava, si immaginava il volto di suo figlio che sorrideva. Non poteva permettere che il drago si cibasse di lui quindi, mentre la bestia gli passava sopra credendolo morto, raccolse le ultime forze, si alzò e lo colpi in pieno petto con il pezzo di selce affilata. Gli occhi del mostro si sgranarono in un’espressione di stupore: si era sentito attraversare solamente da un lampo freddo, ma oramai la mano del combattente si era fatta strada tra le squame ed aveva raggiunto il cuore aprendolo in due. Il sangue caldo uscì dal petto bagnando le persone che si trovavano lì vicino e le zampe possenti si piegarono facendolo rotolare dalla foresta impenetrabile al centro della vallata oramai privo di vita. Dopo un attimo di esultanza i pochi rimasti si precipitarono all’interno della capanna per riabbracciare i loro figli, ma di loro non c’era traccia, erano spariti nel nulla. La Sibilla aveva fatto tornare il sole e la terra aveva cominciato ad asciugarsi. Di tutto il villaggio solo un centinaio di persone erano sopravvissute. Queste si recarono alla grotta della maga distrutte dal dolore. Al cospetto della Sibilla cominciarono a piangere inginocchiati, pregandola di far qualcosa per far tornare i loro figli. Neanche lei poté far nulla e pianse, non solo per i piccoli scomparsi, pianse anche per il fardello che i genitori avrebbero portato per tutta la vita, ma soprattutto pianse per le decine di persone rese immortali dal sangue del drago, che avrebbero sofferto per l’eternità. I sopravvissuti alla battaglia si ritirarono più in alto che poterono, lontano da tutti per poter rimanere soli con il dolore. Rimasero lassù tra il Vettore ed il Gran Gendarme e piansero per così tanto tempo che le loro lacrime formarono due piccoli laghi. Oggi i laghi sono ancora lì ed in certi momenti la Sibilla urla così forte da far tremare la terra. Alcuni anni fa hanno costruito una diga che ha sommerso tutta la vallata, lasciando scoperta solo l’isola di San Giorgio, teatro della cruenta battaglia”. Una lunga pausa, rimango a bocca aperta in attesa di altre parole…il vecchio pescatore, durante tutto il racconto, non ha mai alzato lo sguardo dal bicchiere. Alza la testa e i suoi occhi sono lucidi. Non riesco a dir nulla. Abbozza un mezzo sorriso e continua: “forse ti stai chiedendo cosa c’entra Babbo Natale?!? Ricordi i sopravvissuti resi immortali dal sangue del drago? Be’, sembra che in questo periodo dell’anno si aggirino ancora vestiti di rosso con i loro buffi copricapo proprio nelle pinete attorno al lago e nella notte costruiscano giochi con il legno degli alberi proprio come facevano nell’antichità, con la speranza che un giorno potranno riabbracciare i propri piccoli … un nuovo inizio, in fondo la parola “Natale” vuol dire proprio questo”. Il pescatore si volta e guarda dietro di sé un orologio a pendolo che segna un quarto a mezzanotte, si alza velocemente un po’ traballante sulle gambe e con un grande sorriso mi dice che deve scappare perché è in ritardo. “Sai, ho tanto lavoro da fare” mi sussurra. Non riesco a dire nulla, faccio solo un cenno di saluto con la testa e mentre esce vedo cadergli qualcosa dalla tasca. Mi alzo per raccoglierlo, senza neanche guardare cosa sia, apro la porta per ridargli l’oggetto, ma è sparito. Vedo solamente di fronte a me la superficie del lago che rispecchia le stelle. L’ aria è fredda, apro la mano e vedo che l’oggetto perso dal vecchietto era solamente una pietra senza valore, solamente un pezzo di selce affilata. Sono passati alcuni anni da quella strana serata, ma da quella volta mi piace in estate passare qualche ora qui da solo nella pineta a bordo lago. Porto sempre con me quel pezzo di selce, provo anche ad intagliare dei pezzi di legno per fare dei pupazzi da portare a mio figlio. Ogni volta provo la stessa sensazione: come il legno prende forma mi sembra di sentire dei bambini ridere…. che strano rumore fa il vento tra gli alberi in questa vallata.
Ovviamente la storia è frutto di pura immaginazione, anche se ……… nelle leggende un po di verità c’è sempre.